Mi è accaduto spesso di partorire alcune delle idee più importanti con la fronte appoggiata alla fredda superficie del un finestrino di un treno.
Ricordo nitidamente il momento in cui in me scoccò la scintilla che oggi porta il nome di Forme di Sophia. Era un Milano-Reggio Emilia, ed ero di ritorno dall’ennesima visita al Salone del Mobile, deluso e con appresso un senso di vuoto. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe sentire dopo un confronto ravvicinato con la creatività, con la bellezza. Impiegai l’intero viaggio a cercare la natura di quel vuoto, e lo trovai una volta sceso in stazione a Reggio Emilia, osservando ciò che resta di quella struttura di epoca fascista che conserva ancora oggi in ogni suo mattone quell’anima austera, razionale e capace malgrado il tempo trascorso di incutere ancora un certo timore.
Non c’era alcuna identità che potrà essere riconosciuta come caratteristica di questi anni dai posteri. Nessuna linea stilistica capace di caratterizzare nulla. Nessun coraggio nel progettare qualcosa che andasse contro corrente, spiazzare, stupire, emozionare. Il tutto, come oggi, sembra concepito per accontentare pedissequamente i mercati emergenti, e ben spendenti.
Ecco dunque individuato il senso del mio vuoto.[bctt tweet=”Allora ho pensato che il design, nonostante tutto, debba rialzare la testa e tracciare nuove strade. http://bit.ly/12HHJwW #ArtigianaDesign”] Allora ho pensato che il design, nonostante tutto, debba rialzare la testa e tracciare nuove strade. Occorre anima nelle cose che viviamo tutti i giorni nelle nostre case, nelle nostre città, in quanto seppur spesso inconsapevoli, con essi abbiamo un rapporto quotidiano. Le forme intorno a noi, come insegna anche il Feng Shui, influenzano la nostra esistenza.
E’ tramite questo processo mentale che ho concepito per la prima l’idea di creare oggetti che potessero non soltanto contenere, ma significare. Oggetti che potessero essere espressione geometrica di un pensiero vero e proprio. L’utopia, che conservo ancora oggi a distanza di qualche anno, è che si possa scegliere un oggetto non solo per la sua estetica o funzionalità, ma perciò che esso esprime.[bctt tweet=”L’utopia è che si possa scegliere un oggetto non solo per la sua estetica o funzionalità, ma perciò che esso esprime. http://bit.ly/12HHJwW”] Il processo che auspico per il design, è che esso assurga ad una forma di espressione che possa rappresentare in un qualche modo il senso “etico” e non solo estetico, di chi lo acquista e decide di inserirlo nella sua abitazione. Il processo che auspico è il medesimo che ci fa indossare una maglia del Che a 16 anni, oppure esporre sul balcone una bandiera arcobaleno; in un modo o nell’altro quelle piccole cose ci consentono di dire al mondo il nostro pensiero.
Ecco dunque che ritengo che il design debba tornare a farsi viatico di un pensiero, un pensiero vero che possa esser condiviso. Che possa elevare un oggetto oltre l’estetica. Mai, come in questo periodo storico, credo abbiamo bisogno di senso, dentro e fuori di noi.
Ogni esemplare delle Forme di Sophia ha un suo significato, un suo senso, una sua capacità emozionale perché in nessuno di essi, la forma ha anticipato il pensiero, bensì è avvenuto sempre il contrario, ossia è sempre stato un pensiero a ispirare una forma che meglio potesse esprimerlo.
E quando si guarda la forma, in realtà si sta guardando un pensiero, che se ne sia coscienti o meno, a livello inconscio arriverà all’osservatore qualcosa che va oltre…e che saprà riempire quel vuoto.